Federica Ciceroni: «Farò il magistrato anche grazie al Servizio Civile»
Studentessa di Rieti fuori sede, sta per laurearsi in Giurisprudenza a Roma e a gennaio 2020 ha iniziato il servizio civile con Uildm Lazio. «Un'esperienza che mi ha fatto capire che non è solo chi fa una professione sociale che può aiutare, ma anche l’ingegnere che costruisce la città, il giurista, chi scrive provvedimenti amministrativi e anche i singoli cittadini»
Davanti a quel portone, le si sono aperti gli occhi. «Un portone bellissimo, moderno... pesantissimo. Così, da quando lo hanno messo, la persona che seguo con il servizio civile non riesce più a entrare e uscire da casa da sola, perché non ha la forza necessaria per spingerlo. Credo che nessuno dei condomini volesse questo, quando hanno scelto il portone nuovo: ma nei fatti hanno tolto la possibilità di essere autonomo a un uomo che cerca in ogni modo di esserlo». Federica racconta così l’istante in cui ha compreso che «non è solo chi fa una professione sociale che può aiutare, ma anche l’ingegnere che costruisce la città, il giurista, chi scrive provvedimenti amministrativi... e anche i singoli cittadini, che possono aver presente o meno che non esistono solo le persone sane, abili e senza problemi». Federica Ciceroni è una studentessa fuori sede, sta per laurearsi in Giurisprudenza a Roma e a gennaio 2020 ha iniziato il servizio civile con UILDM Lazio.
Perché hai fatto il servizio civile?
Ho fatto diverse esperienze di volontariato in passato, ma a livello episodico o per periodi brevi: volevo un percorso più strutturato. Ho servito ai pranzi di Natale di Sant’Egidio, ho fatto la volontaria in Abio e in una comunità di ragazzi con problemi psichiatrici: ho sempre cercato di fare tante esperienze diverse e di conoscere quelle realtà che nella quotidianità non incontro. Penso che questo “eclettismo” mi sarà utile in futuro come cittadina. È banale dirlo, ma anche per la disabilità un conto è sapere in teoria le problematiche che queste persone possono incontrare, un altro affrontarle insieme a loro. Con Uildm Lazio è stato amore a prima vista: i formatori ci hanno trasmesso subito l’idea che noi non avremmo dovuto stare accanto alle persone con disabilità come un sostegno a cui appoggiarsi, ma come un pungolo.
L’emozione del primo giorno?
Abbiamo finito la formazione durante il lockdown, per cui ho iniziato il mio servizio civile in modalità mista, facevo la spesa per una signora che era impossibilitata ad uscire e seguivo un ragazzo con la distrofia di Duchenne nei compiti online. Mi sono sentita molto utile. Ma quando finalmente ho incontrato il primo utente di persona... è stata un’altra cosa. Lo aiuto a fare spesa, chiacchieriamo, cuciniamo... è già nata una bella amicizia.
Molti dopo il servizio civile cambiano idea sul loro futuro...
Io no, il mio sogno è entrare in magistratura. Sono convinta che la solidarietà sia orizzontale, fra singoli cittadini, perché chiunque nella vita incontrerà una situazione delicata e potrà agire con una prospettiva diversa. È questo per me il vero senso del servizio civile. È come il greco, è formativo in un modo che non si vede ma che fa la differenza nella sensibilità, nelle intuizioni, nelle soluzioni che si cercano ai problemi. Non è solo una bella esperienza, ma qualcosa che mi servirà per il futuro.
La parola che riassume tutto?
Scoperta. Scopro persone, fragilità, limiti — anche miei — e potenzialità. Tante volte ho pensato “io non sono in grado di farla questa cosa” e invece, cavolo, ce l’ho fatta.
(intervista a cura di Sara de Carli, Vita)